Sunflower.

Puella Magi Madoka Magica.

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    Giusto per riempire un po' il forum con qualcosa di mio e renderlo ancor più infestato di materiale magico, vi propongo una storia che ho scritto circa un anno fa. Solitamente non mi piacciono le fan fiction per il fatto che sono, purtroppo, estremamente monopolizzate allo shipping e che tendo per lo più a scrivere materiale "mio", quindi originale, nella speranza di pubblicare. Tuttavia Madoka ti offre così tanti spunti che tenerli rilegati all'interno dei pensieri rappresenterebbe un crimine verso l'opera stessa.
    Avevo due storie da proporre, questa dove è ricaduta la mia scelta e che si intitola Sunflower ed un'altra attualmente in stesura che si intitola "Forse nella realtà; certamente nell'incubo"; il motivo per cui non ho voluto mettere quest'ultima è che secondo me ha dei contenuti discutibili i quali sarebbe meglio non venissero letti da chiunque ed anche perché è molto più lunga. Sunflower invece è composta da 13 capitoli per un totale di 62 pagine di documento e quindi circa 120 in formato libro ed è molto più in stile Madoka Magica; in essa infatti non appare nessun tipo di aggiunta o mia invenzione personale e segue per filo e per segno le regole dell'opera.
    Ovviamente non mi aspetto che chi passi si impegni a leggere questo lungo delirio, perciò posterò un solo capitolo per adesso, se poi qualcuno vorrà sapere il seguito, basterà che lo scriva qui e continuerò ad inserire periodicamente i pezzi mancanti.

    Trama:
    Misaki Nagai è una ragazza di sedici anni che vive una condizione di vita da emarginata a causa di un suo difetto fisico che gli impedisce di camminare correttamente e della sua goffaggine in ambito sociale. Non desidera nulla nonostante viva in una famiglia disastrata e la sua vita sociale e gli studi vadano a rotoli, cose se dentro di lei non ci fosse un'anima bisognosa d'attenzioni e bramosa di piacere. L'unica cosa che sembra smuoverla da questo suo stato di ameba è l'odio smisurato che prova nei confronti dei felini, al punto tale da aggredire fisicamente tutto ciò che li riguarda.
    La storia avviene in una dimensione dove Homura e Madoka hanno perso prematuramente le loro compagne e si ritrovano da sole a lottare contro le streghe. Homura cela alla compagnia il fatto d'essere tornata indietro nel tempo per l'ennesima volta solo per proteggerla e cerca di lavorare ad un rimedio per affrontare la notte di Valpurga, ignorando il fatto che sta per avvenire qualcosa di nuovo e terrificante.



    IMG_03082014_202114_zpsc12d78c3



    Dal diario di Noriko, professoressa delle scuole medie.



    Quello che voglio riportare su questa pagina di diario non è altro che un mio vano tentativo di sfogarmi su quanto è accaduto.
    Sono passati anni da quando ho scritto su questa carta, affidandomi ad essa come se nessun altro fosse in grado di capirmi. Purtroppo, solo adesso che mi rendo conto quanto assurde siano le cose che sto per raccontare, riesco nuovamente a comprendere come possa sentirsi un adolescente confusa ed isolata. Ricordo appieno le sensazioni di disorientamento e l'incapacità di dare una vera e propria identità a se stessi; ma soprattutto ricordo il disperato bisogno d'affetto che contraddistingue quelle persone che, ironicamente, vedi sempre sole, rintanate nell'ultimo banco dell'aula, ad invidiare il prossimo e la sua capacità di aggregarsi.
    Però non è da qui, dalla scuola media, che tutto è iniziato.
    Conoscerete la piccola Misaki Nagai immagino. Ovviamente... Tutti conoscono Misaki Nagai. Eppure, prima che tutto iniziasse, lei era solo l'anonima figlia della grande rock star Daiki Nagai. Ed era proprio in quel periodo, quando ancora Misaki altro non era se non una spensierata bambina di cinque anni, che io la conobbi.
    In quel periodo non ero ancora una professoressa ed usavo scrivere molto più spesso sulle pagine di questo diario. Come molte, potevo identificarmi come la solita ragazzina che aveva perso completamente la testa per quel giovane virile che si esibiva cantando, in televisione e sui palchi di tutto il Giappone, indossando sempre quelle eccentriche camice troppo strette per il suo fisico muscoloso e ben definito.
    Quelli avrei potuto definirli dei tempi davvero spensierati e se avessi saputo cosa stava per accadere, allora me li sarei sicuramente goduti di più.
    Mi trovavo al bar con le mie amiche, ma non ero lì per caso, no affatto. Sapevamo che il nostro idolo, Daiki Nagai, si sarebbe presentato in quell'esatto luogo!
    Quanto ero eccitata se ci ripenso, probabilmente solo il trauma successivo è in grado di superare quell'eccitazione che solo un'adolescente può avere nei confronti del proprio idolo.
    Quando arrivò, tentammo di non sembrare troppo sfacciate tempestandolo di attenzioni, ma alla fine la nostra resistenza venne meno e ci ritrovammo a circondarlo, a chiedergli autografi ed a fare tutto quello che tutti farebbero di fronte alla persona che stimano sotto ogni punto di vista.
    Se solo avessi avuto la coscienza che ho adesso, magari allora mi sarei resa conto che quell'uomo altro non era se non una viscida sanguisuga affamata, affetto da una forma di egocentrismo spaventosa; un egocentrismo che ricadde inevitabilmente sulla piccola figura che in pochi, oltre a me, avevano notato.
    La piccola Misaki si trovava col suo papà e continuava a guardarsi intorno spaesata, facendo dondolare le ciocche dei suoi splendidi e lisci capelli gialli come i petali dei girasoli. Nessuno si degnava di dedicarle un briciolo di attenzione e, anche se lei sembrava abituata ad essere assalita da orde di persone quando era in giro con il suo papà, si ritrovò presto a fare tutto quello che fanno i bambini per intrattenersi: interessarsi alla prima cosa estranea alle proprie conoscenze.
    I suoi occhietti grigi caddero sulla porta d'ingresso del bar, poi la sua vocetta si fece strada nelle mie orecchie...
    Ricordarla adesso mi crea, in qualche modo, una forma di angoscia e di terrore difficile da spiegare.

    "Papà! Micio!"

    Furono le parole che Misaki pronunciò quel giorno, tirando la mano del papà che, ritenendo troppo importante essere al centro dell'attenzione, non solo la ignorò, ma addirittura si liberò di lei mollando la presa, quasi come volesse spingerla a togliersi di torno.

    Lei non era importante, la sua fama sì...

    Misaki allora prese alla lettera la reazione di suo padre e si diresse verso l'uscita.

    "Micio!"

    Squittì ancora con la sua vocetta.
    Uscì dal bar.
    Fu allora che in me, qualcosa si risvegliò. Forse perché, avendo due sorelle più piccole, sono sempre stata terrificata dal fatto che potessero farsi male, non ne sono certa. Fatto sta che fui l'unica ad accorgersi, in quel momento, che una bambina lasciata indisturbata poteva farsi davvero molto male.
    Riuscii ad ignorare il mio desiderio di toccare, di parlare, con quello che adesso penso sia uno degli esseri più ributtanti del pianeta e mi precipitai verso la porta.
    La spalancai.
    Però era già troppo tardi.
    Non ricordo esattamente se sono stata in grado di urlare prima di sentirle ancora una volta pronunciare "micio!", ma sono certa che il mio urlo sarebbe comunque stato sopraffatto dalla frenata emessa dall'auto che si era ritrovata la piccola Misaki in mezzo alla strada, ad una distanza che rendeva impossibile qualsiasi manovra per evitare l'impatto.
    Mi tremano le mani a descrivere cosa vidi, quindi non mi spingerò nei dettagli, visto che probabilmente sarete tutti in grado di dedurre cosa accadde da quel momento in poi. Però... Con ancor più terrore riesco a scrivere qui, su questo diario abbandonato da anni, cosa non vidi.
    Dentro il bar e al di là della strada... non c'era nessun gatto.




    Io sono una figlia di convenienza.



    Molto spesso si crede che la vita sia una sorta di miracolo. Che tutto ciò che accade sia in qualche modo parte di un disegno a noi incomprensibile, ma che, lentamente, nel corso degli anni prende forma, sino a farci rendere conto che tutto ha avuto un senso sin dall'inizio.
    Gli imprevisti e le coincidenze ci fanno apprezzare la vita. Quando le cose accadono rimaniamo sempre sorpresi e la nostra opinione viene influenzata dalla bellezza o dalla brutalità degli avvenimenti esterni. Alla fine, siamo solo argilla nelle mani di un oscuro modellatore e, indipendentemente dal risultato, attendiamo di trasformarci in un capolavoro. Tuttavia non sta a noi decidere chi sia l'artista che tenga tra le sue onniscienti mani i risultati della nostra vita.
    Per quanto riguardava l'esistenza di Misaki Nagai, se glie lo avreste chiesto, probabilmente vi avrebbe risposto che le mani che la modellavano appartenevano senza dubbio ad un autore di Best Seller drammatici, noto per essere in grado di far peggiorare le cose di pagina in pagina, senza mai abbellire con un briciolo di ottimismo neanche la punteggiatura.
    Lei era la ragazza in fondo all'aula.
    Lei era quella che non riusciva a socializzare.
    Lei era la testarda che si ostinava a non fare i compiti a casa.
    Quella sempre con la testa tra le nuvole.
    Soprattutto però, lei era una figlia di convenienza.
    Probabilmente vi aspettereste che la pargola di una famosa rock star sia in grado di vivere in discesa tutte le difficoltose tappe dell'esistenza. Forse pensate che chi nasce in una famiglia di rilevanza in qualsiasi campo, allora si ritrovi di conseguenza la strada spianata su tutti i fronti. Al contrario, per Misaki non era affatto così. Lei era ignorante, zoppa, distratta, non particolarmente bella, incapace e soprattutto “di convenienza”.
    Cosa voleva dire però di convenienza?
    Misaki lo aveva sentito per la prima volta da suo padre, mentre parlava con il suo menager al telefono. Però solo con il tempo era riuscita ad intendere il significato, soprattutto però grazie all'aiuto del suo secondo nome; infatti, letto per intero, lei rispondeva al nominativo di Misaki “Sunflower” Nagai. Quando nacque, i suoi genitori si trovavano in vacanza in un posto particolarmente noto per gli splendidi campi di girasole. Ora magari, vi aspettereste che quel nomignolo le fosse stato dato dalla madre in una sorta di atto d'amore, ma non è affatto così, perché lei era “di convenienza”.
    “Sunflower” era stato infatti il nome che i media le diedero per far gioire tutti i fan di suo padre, la rock star Daiki Nagai, in un articolo che i suoi genitori conservavano solo per ricordare lo spicco di fama che ottennero grazie a quella tattica offerta dal menager di Daiki.
    Insomma, Misaki non era nata dall'amore, né dall'errore di un profilattico difettoso e neppure dal semplice piacere sessuale umano. Lei era nata per fare soldi e così era stato, fino a che non ebbe quell'incidente a cinque anni. Allora la sua esistenza era divenuta motivo di degrado per la sua famiglia, perché i titoli riguardanti un padre che non bada a sua figlia per vantarsi di se stesso, non erano andati giù a nessuno.
    I medici avevano ripetuto fino allo sfinimento che era stata fortunata, che sarebbe potuta morire invece che ritrovarsi con un ginocchio mal funzionante che serviva a farle dare continuamente dell'handicappata. L'idea di Misaki però era che quella non era stata affatto fortuna, ma malasorte. Avrebbe in un certo senso preferito morire, piuttosto che ritrovarsi a vivere una vita come la sua; isolata da tutto e tutti, con dei genitori che l'accusavano costantemente di essere la causa delle loro disgrazie. In fin dei conti li comprendeva, alla fine anche il loro matrimonio era stato “di convenienza”; lui godeva della fama e lei dei risultati che essa portava, un piano perfetto, peccato che non avessero calcolato quel gatto che gironzolava nei pressi del bar dove Misaki era stata investita. Lui l'aveva attratta fuori dal bar, poi aveva superato la strada e... Quella macchina le era venuta addosso. Inutile quindi aggiungere che per i gatti, Misaki, altro non provava se non un forte rancore.
    Una volta terminate le lezioni, Misaki si alzava sempre per ultima; così evitava di incappare in qualche contatto umano, perché solitamente quelli rivolti a lei erano sempre intrisi di scherno, e soprattutto non rischiava di cadere in mezzo alla folla di studenti per colpa del suo ginocchio malandato. L'attesa era spesso snervante, specie perché vedeva tutte quelle persone allontanarsi; loro erano sempre insieme, aggregate, avevano legato dal primo giorno, mentre lei no. Lei era la stupida storpia dell'angolo. Soprattutto però, detestava rimanere lì immobile perché la professoressa Noriko Lemoine ne approfittava per avvicinarsi a lei e parlarle.
    Come se potesse capirla.
    Come se potesse aiutarla.
    « E' tutto apposto Nagai? »
    Le chiese dolcemente, come faceva tutte le volte alla fine dell'ultima ora.
    La professoressa Lemoine aveva discendenze francesi, ma era nata in Giappone e lì si era dedicata all'insegnamento. Era brava a farlo ed a farsi rispettare dai suoi alunni; probabilmente anche perché il suo aspetto, con i lunghi capelli neri raccolti, gli occhi scuri e gli occhiali spessi, dava l'idea di essere il tipo di persona da non far arrabbiare.
    « Ho visto che hai lasciato il compito in bianco anche stavolta... Non vorrei dover parlare con i tuoi genitori, preferirei che fossi tu a dirmi se sto sbagliando io, oppure se qualcosa ti impedisce di impegnarti. »
    Misaki avrebbe avuto mille modi per rispondere a quelle richieste.
    Se la professoressa avesse chiamato i suoi genitori, loro non si sarebbero presentati o magari, se snervati dalla cosa, si sarebbero accaniti con lei. Se avesse invece dovuto dirle cosa le impediva di impegnarsi, allora sarebbe stato anche peggio.
    Così, come tutte le volte, Misaki si limitò a dire la stessa cosa.
    « Mi dispiace, cercherò di impegnarmi di più. »
    Detto ciò, si alzò dal banco, si caricò la cartella sulle spalle e si incamminò, zoppicando, verso l'uscita. Poteva sentire gli occhi della professoressa gravare su di lei, intrisi di quella che sembrava una compassione che si poteva avere solo per un cucciolo di cane ferito che ha come unica alternativa di vita la soppressione, ed era proprio così che Misaki si sentiva: come una ferita da abbattere, per porre fine alle sue sofferenze.
    Ritornando a casa, come al solito, venne investita da quelle scomode e tremende sensazioni che la invadevano ogni volta. Col tempo, anche quel desiderio di lasciare la scuola e rintanarsi nella propria camera, comune a tutti gli studenti, se ne era lentamente andato. In fin dei conti a lei cosa cambiava se si trovava in classe o in camera sua? Rimaneva sola, senza nessuno che l'ascoltasse e faceva male, dannatamente male.
    Persino la strada che percorreva a piedi stava divenendo sempre più sfiancante e non a causa della sua menomazione fisica, ma per colpa dell'insensatezza per cui doveva farla. Spesso si chiedeva che, se si fosse semplicemente seduta contro il muro, in attesa dell'inizio della scuola il giorno successivo, non sarebbe cambiato nulla, avrebbe solo dormito più scomoda.
    A sorprenderla però, quel giorno, mentre camminava stanca ed annoiata, fu l'arrivo di un piccolo batuffolo di pelo nero. Un gatto che fece capolino dall'angolo della strada e la salutava con un dolce miagolio.
    Misaki rimase paralizzata per un secondo, quel tanto che gli bastò dal tornare alla realtà, poi con molta fatica di piegò sulle ginocchia ed allungò una mano in modo che il gatto si avvicinasse.
    L'innocente creatura allungò il collo, poi si avvicinò facendo le fusa e sperando che quella gentile estranea possedesse del cibo da donargli.
    Misaki si fece annusare la mano, poi lasciò che il piccolo batuffolo si strusciasse contro i suoi piedi, allora si alzò di nuovo. Fissò il gatto che adesso la salutava con dolci versetti e poi digrignò i denti.
    Era stata tutta colpa di un gatto se adesso lei non viveva in una favola che, per quanto potesse essere falsa quanto una recita, le avrebbe garantito di vivere una vita priva di tutto quel dolore.
    Tutta colpa di uno stupido gatto.
    Erano creature inutili.
    Dovevano morire tutti.
    Misaki caricò con tutta la sua forza un calcio, sostenendosi a fatica sulla gamba malandata, poi la rilasciò tutta sul povero gatto che tutto si aspettava tranne una reazione così violenta nei suoi confronti.
    Il ginocchio zoppo non resse però a quello sforzo e, mentre nelle orecchie di Misaki l'urlo di dolore dell'animale che veniva scagliato lontano si trasformava nello stesso indimenticabile suono dell'auto che frenava nel tentativo di non investirla, tutto il suo corpo cadeva rovinosamente a terra.
    Le ginocchia si sbucciarono a contatto con il marciapiede ed iniziarono subito a bruciare, mentre le lacrime si fecero largo, oscurando i morti occhi grigi.
    Misaki fissò il gatto rialzarsi debolmente e notò che zoppicava.
    Gli stava bene. Adesso era come lei: uno storpio! E gli storpi avevano vita difficile! Specie se erano gatti randagi! Loro dipendevano dalla loro agilità per catturare le prede, adesso sarebbe morto di fame.
    Quella debole forma di vendetta però non bastava a riempire il vuoto dentro il cuore di Misaki che, incapace di trattenersi oltre, scoppiò in un pianto disperato, tenendosi le mani attorno al corpo, in un vano istinto di proteggersi dal mondo esterno.
     
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    Bellissima! La migliore che abbia mai letto, e io ne ho lette tante xD Ovviamente parlo di metodo di scrittura e bravura, non di trama perché ancora non so molto. Perciò posta il capitolo successivo. u.u
     
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    Che bella *^* ^o^scatta il +1! XD XD
     
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    Allora metto il secondo. Ditemi quando inizia a stufare!


    Io sono un errore.



    Tutti noi abbiamo bisogno di un luogo dove rifugiarci dai dolori che il mondo esterno ci procura.
    Nonostante la presenza di persone in grado di ascoltarci, rimangono sempre lati di noi stessi che non vogliamo rivelare al mondo; forse perché ce ne vergogniamo, forse perché non siamo addirittura in grado di descriverli. Fatto sta che, indipendentemente dalla natura di questi segreti generati dai meandri della nostra mente, abbiamo irrimediabilmente bisogno di un posto dove poterci porre delle domande, escludendoci dalla realtà e trovare così un breve periodo di ricarica da quel fiume in piena dalla corrente devastante che è la vita di tutti i giorni.
    La solitudine e l'ambiente che ci fa sentire al sicuro ci aiutano a raggiungere un po' di pace interiore. Possiamo evitare di vergognarci di tutte quelle cose che, in pubblico, sarebbero talmente umilianti da impedirci di mostrare nuovamente il nostro volto di fronte agli occhi di chi ci ha visto farle. Quando siamo soli ed a nostro agio riusciamo a parlare con noi stessi, a ridere ed a dedicarci a passioni che magari non vogliamo mostrare agli altri; tutto questo ci garantisce una migliore coscienza di noi e serve a rendere le idee che abbiamo sulla nostra vita più chiare e sicure, prive da influenze esterne.
    Per Misaki, tutto quel riflettere su se stessa era diventato un vero incubo.
    Invero, Misaki non aveva neanche un luogo particolare dove sentirsi al sicuro, neppure in camera sua. Questo perché, da quando era venuta a conoscenza della verità sulla sua nascita, le sembrava di essere una sorta di estranea dentro la sua stessa casa; le persone, dai suoi genitori agli ospiti, la trattavano con superficialità e fastidio, mentre l'unica cosa che le ricordava di esistere era il semplice fatto che fosse in grado di respirare con i suoi polmoni.
    Ogni giorno tornava a casa da scuola e si dirigeva verso camera sua, zoppicando maldestramente e faticando per fare le scale.
    Molto spesso i medici, durante le visite, le avevano raccomandato di usare una sorta di appoggio; lei però si riteneva già abbastanza tormentata e non se la sentiva di aggiungere alla sua condizione un bastone da vecchio che sarebbe stato valido motivo di scherno.
    Suo padre era in casa come al solito, impegnato a guardare registrazioni dei suoi vecchi concerti e, quando la vide passare con le ginocchia insanguinate, non le chiese nulla. Misaki però c'era abituata; quel dolore che sentiva quando vedeva gli altri genitori preoccupati anche per la caduta di un capello dei propri figli, mentre i suoi la ignoravano di continuo era svanito da molto tempo. In realtà, le faceva molto più male vedere suo padre in quel modo ogni giorno.
    Daiki Nagai era stato, prima dell'incidente, un grande cantante, ma adesso era solo il fantasma di quel bell'uomo talentuoso che si esibiva sul palco; i suoi capelli neri erano ridotti ad un ammasso informe di grovigli, il suo viso era stato segnato dalle prime rughe e la barba era cresciuta a dismisura, oscurandogli le labbra, il mento e le guance.
    Per Misaki quell'immagine rappresentava il risultato della sua esistenza, del suo errore. Un idolo decaduto per colpa di una stupida zoppa; questo era ciò che albergava dentro di lei, mentre si chiudeva dentro camera sua e si accasciava sulla scrivania di fianco all'unica finestra della stanza.
    Lasciava che il suo peso si adagiasse sulla superficie di legno del tavolo e che la sua schiena si stendesse contro il muro bianco e sterile, mentre, con i suoi occhi grigi, studiava con odio la sua camera. Era la stessa di quando era bambina, prima dell'incidente che aveva rovinato la sua vita e quella della sua famiglia. Soltanto il letto da bimba era stato sostituito, per il resto tutto era rimasto intoccato. Su di una parete erano stati disegnati da degli artisti, perché a quel tempo potevano permettersi di pagare delle persone di rilievo anche per dipingere la stanza della loro figlia di convenienza, numerosi girasoli, in una riproduzione identica del luogo dove era nata. Il grosso armadio bianco era tappezzato di numerosi adesivi che rappresentavano varie idiozie infantili che solo ad una piccola principessa ignorante sarebbero potuti piacere, mentre negli angoli della stanza e sul letto, i peluche di clown, orsacchiotti e quanto altro giacevano distesi, inermi di fronte a quella ragazza che aveva smesso di sognare.
    Misaki ricordava di aver fatto a pezzi tutti i pupazzi di gatti che aveva dopo essere stata dimessa dall'ospedale anni prima; si era impadronita di un coltello da cucina e, come aveva fatto quella mattina prendendo a calci quel randagio, si era avventata su tutti gli animaletti inanimati, riducendoli a pezzi e sparpagliando la loro imbottitura in tutti gli angoli della stanza. Tuttavia la cosa non l'aveva affatto fatta sentire meglio, perché ad essere ridotto in poltiglia non era quello stupido gatto che l'aveva spinta in mezzo alla strada. Ironicamente, anche se tutti i gatti glie lo ricordavano, lui, il responsabile del suo dolore, era totalmente diverso da tutti loro. Misaki ricordava bene il colore; era bianco, quasi lucente, mentre i suoi occhi sembravano due grosse biglie rosa incastrate in quella grossa testa rotonda ad un livello tale da sembrare quasi anatomicamente anomala; l'immagine che si creava con quei ricordi era però troppo assurda per essere vera, non poteva esistere un gatto simile ed i suoi ricordi erano sicuramente influenzati dalla meraviglia dell'età infantile e dal trauma che li aveva seguiti.
    Insomma, la vendetta verso un gatto bianco dagli occhi rosa non poteva certo divenire la ragione di vita di Misaki. Tuttavia quello era tutto ciò che aveva: l'odio per i felini. Probabilmente l'unica cosa più concreta di quel disprezzo in lei era la considerazione che aveva di se stessa.
    Continuando a fissare, come faceva sempre, fuori dalla finestra, accasciando la testa sul vetro, pensava a come non fosse mai stata in grado di trovare un posto dove stare; lei si sentiva estranea alla realtà e quindi mal voluta, non solo dai genitori a cui aveva rovinato la vita, ma anche da tutte le altre persone che la evitavano come si fa con una lebbrosa. Non aveva mai avuto amici ed in un certo senso non le interessava averne, perché sentiva che tutte quelle persone con una vita semplice non sarebbero mai state in grado di capire come si sentiva. Tutti la evidenziavano subito come la figlia di una celebrità e di conseguenza, viste le condizioni dei suoi genitori, i pregiudizi ricadevano anche su di lei.
    Mentre poteva udire, dal piano inferiore, l'ennesimo litigio che coinvolgeva sua madre e suo padre, Misaki osservò alcune sue compagne di classe percorrere il marciapiede di fronte a casa sua; tra queste vi era anche Vanessa Rubini, la rappresentante, nonché una delle alunne più apprezzate dai compagni e dai professori. Si era trasferita da qualche anno in Giappone, dopo aver lasciato l'Italia, e subito aveva conquistato tutto e tutti con la sua simpatia e la sua incredibile abilità nel cucire; Misaki aveva infatti spesso notato che alcune ragazze indossavano qualche capo fatto proprio da lei, in particolar modo nei periodi invernali, dove sciarpe e guanti erano all'ordine del giorno. Oltre questo, Vanessa era anche una splendida ragazza; aveva lunghi capelli neri e lisci, con una frangia che copriva la fronte sino alle sopracciglia, gli occhi azzurri e la pelle lievemente scura, tipica della zona mediterranea. Insomma, lei era tutto ciò che Misaki non sarebbe mai stata, il suo opposto, l'altra faccia della medaglia, praticamente un bersaglio su cui riversare il proprio odio. Ironicamente però, Vanessa sembrava come rendersi conto del disprezzo provato nei suoi confronti, tant'è che si divertiva a schernirla in tutti i modi possibili ed in ogni occasione, ricordandole in un certo senso quale fosse il suo posto.
    L'attenzione di Misaki venne catturata per diversi secondi dallo smeraldo spillato sulla divisa di Vanessa, splendido e luccicante come sempre, poi si rese conto che quest'ultima, assieme alle sue amiche, aveva iniziato ad imitare uno zoppicamento innaturale. Misaki sollevò lo sguardo e si rese conto che Vanessa la stava fissando mentre la scherniva con quell'imitazione di lei, cosa che la spinse a tirare violentemente la tenda verso di sé, in modo da celarsi dalla vista delle ragazze. Il suo tentativo di svanire però le si rivoltò contro perché la tenda, strattonata con troppa forza, si staccò e ricadde sulla sua mano.
    Vanessa e le sue amiche smisero di zoppicare ed iniziarono a ridere divertite e Misaki, anche se non poteva sentirle, riusciva a percepire il disagio che solo un'intera cerchia di persone che si fanno beffe di te riescono a generare; tentò allora di allontanarsi dalla finestra, ma nello scendere dalla scrivania il ginocchio cedette, facendola cadere sul pavimento, nuovamente sulle ginocchia già ferite.
    La caduta le aveva provocato un forte dolore, ma per lo meno era finalmente fuori dalla vista di Vanessa e delle sue amiche. Notò che il sangue che le usciva dalle ginocchia aveva sporcato il pavimento, ma era una cosa da poco, avrebbe pulito dopo, quando suo corpo avrebbe smesso di tremare per la paura dovuta alla caduta e per la rabbia rivolta verso se stessa.
    Misaki detestava essere così imbranata e maldestra, le faceva sembrare che tutto girasse attorno a lei e che fosse destinata e vivere in quel modo per sempre. In fin dei conti le risultava estremamente plausibile, alla fine lei era solo una sorta di errore, un qualcosa che poteva solo peggiorare le condizioni di chi le stava intorno come i suoi genitori e soprattutto non aveva una ragione per esistere, di conseguenza era priva di iniziative ed ambizioni. Inutile dire che aveva ragionato molto spesso sull'uccidersi, ma non ci riusciva, cosa che le aveva fatto capire di essere ancora più miserabile.
    Rimase seduta in mezzo alla sua stanza per diversi minuti, probabilmente più di un'ora, poi riuscì finalmente a rialzarsi; si pulì le ginocchia come un cane che si lecca le ferite, si assicurò che il sangue venisse rimosso dal pavimento ed indossò la tuta gialla che già cominciava a starle stretta. Il resto del pomeriggio lo trascorse sedendosi nuovamente sulla scrivania e continuando a scrutare l'esterno, sino a che non venne l'ora di cena. Come al solito, scese faticosamente al piano inferiore, superando l'ennesima immagine del padre accasciato sulla poltrona, entrò in cucina e tentò di non incrociare lo sguardo della madre, mentre versava l'acqua calda nel ramen precotto.
    Sua madre, Kaede Nagai, era ancora una splendida donna nonostante il tempo cominciasse a lasciare i segni del proprio passaggio e capitava spesso che frequentasse altre compagnie maschili oltre al marito che, dopo essersi sposato più con la sua fama che con lei, sembrava aver perso completamente la voglia di una vita coniugale con il suo declino.
    Come ogni notte, Kaede si trovava in cucina da sola a tenere sotto controllo le spese e le bollette da pagare. I soldi non erano mai stati un grosso problema per loro tuttavia, man mano che le cose andavano avanti, si ritrovavano sempre di più a rinunciare ad alcune spese.
    « Quel ramen deve bastarti anche per domani. »
    Mugugnò la donna, mentre vedeva la figlia attendere che l'acqua calda rendesse commestibili i spaghetti al brodo.
    Misaki la scrutò confusa. Sapeva che si guadagnavano da vivere con alcune vendite fortunate delle vecchie opere e con dei piccoli lavoretti che suo padre faceva presso le case discografiche e con il lavoro da cassiera della madre, ma non pensava che le loro condizioni economiche fossero diventate così drastiche da impedir loro di mangiare una ciotola intera di ramen istantaneo per cena.
    « Quell'imbecille di tuo padre ha rifiutato diversi lavori ed il mio stipendio da supermercato non ci permette di mantenere certi lussi. »
    Come era prevedibile, lo stato di Daiki stava lentamente portando la famiglia alla rovina. Misaki lo aveva sospettato, ma non si sarebbe mai immaginata che quel momento arrivasse così presto; certo non si era mai interessata alle effettive condizioni economiche della famiglia, ma non credeva neanche che mai si sarebbero ritrovati a dover tagliare su certe cose importanti per mantenerne altre. Così mangiò velocemente metà del contenuto della ciotola, la rivestì con il cellofan e la mise in frigorifero.
    « Cosa diresti se me ne andassi? »
    Chiese poi all'improvviso sua madre, lasciandola ancora più di stucco, non le era mai capitato che qualcuno le chiedesse un parere.
    « Andassi? Andare dove? »
    La incalzò confusa, cercando di sostenere il suo sguardo.
    La donna sospirò, poggiando le mani sulle bollette. Misaki trovò quell'immagine ironica, lei che si era sposata con una Star per poter andare ogni giorno a fare shopping ed avere la vita facile, adesso si ritrovava a detrarre le spese da uno scarno stipendio da cassiera.
    « Via da questa ... »
    Borbottò, portando lo sguardo verso tutte le mura della cucina, come se quel gesto servisse a completare la sua frase.
    « … Da questa famiglia? »
    Chiese Misaki, ottenendo un serio, ma sconsolato, “sì” dalla madre.
    Il silenzio cadde per diversi secondi, forse addirittura un paio di minuti. Misaki sapeva benissimo cosa stava accadendo. Molto probabilmente sua madre aveva trovato un uomo disposto a caricare sulle proprie spalle quella squallida vita della moglie di Daiki Nagai ed adesso voleva approfittare di questo per tirarsi fuori da quell'inferno, in un certo senso la capiva e la invidiava. Probabilmente le aveva chiesto cosa ne pensava perché una madre, per quanto lo fosse per convenienza, non poteva fare a meno di preoccuparsi, anche se solo un poco, della sua prole. Però quella domanda per Misaki era stupida, cosa avrebbe dovute dirle? Di restare? Di non abbandonarli? In fin dei conti anche lei, se avesse trovato qualcuno in grado di donarle speranza, allora non avrebbe dubitato un secondo prima di seguire questo qualcuno anche sino in capo al mondo. Senza contare che lei era l'errore, la causa dell'infelicità dei suoi genitori, come avrebbe potuto rispondere diversamente?
    « Direi che ti invidierei molto. »
    Si limitò così a dire, abbandonando la stanza e riuscendo a sentire sua madre scoppiare in lacrime.
    Forse era stata troppo crudele? Quel pensiero solleticò la sua mente per poco tempo, in fin dei conti quella donna l'aveva trattata come un'estranea per anni, come poteva pretendere adesso una sorta di comprensione da lei? Misaki aveva detto quello che pensava, le aveva fatto comprendere che, anche se non si erano mai parlate, anche per lei vivere lì dentro era un supplizio, però c'era una differenza, per sua madre la speranza non era ancora svanita, mentre per lei non era mai nata.
    Una volta superata l'ennesima immagine del padre e la difficile scalinata, Misaki scivolò dentro la propria camera dove regnava l'oscurità e, nel momento in cui i suoi occhi si abituarono, lentamente iniziò a scorgere qualcosa sulla scrivania, qualcosa che prima non c'era, qualcosa che veniva baciata dall'artificiale luce bianca e fioca proveniente dall'esterno.
    Due puntini luminosi luccicarono nell'oscurità e, per un secondo, Misaki percepì come una sostanza gelida penetrarle i muscoli, impedendole di muoversi. Il suo corpo sobbalzò e la sua mano schizzò tremante verso l'interruttore. Quando finalmente la luce del lampadario rivelò l'immagine della candida creaturina seduta sulla scrivania, i sensi della ragazza vennero come annebbiati da una visione del passato, mentre il terrore continuava a farsi sentire sotto forma di un freddo letale per il corpo.
    « Tutto questo. Tu potresti cambiarlo sai? »
    Mormorò una vocetta quanto dolce, quanto tetra, mentre Misaki non si accorse della forza del morso che aveva stampato sulle proprie labbra, cercando una via d'uscita da quella gabbia di ricordi terrificanti e paura.
    « Fa un patto con me... E diventa una Puella Magi. »
    Ed il volto della creaturina si contorse in una smorfia d'allegria mostruosamente umana.
     
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  5. Yasuko-chan
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    bella storia ! E' impeccabile riuguardo al metodo di scrittura, e mi ci sono anche appassionata. Hai descritto bene il tormento di Misaki... :) però, cosa alquanto strana per me, non riesco a immaginare il seguito. Perciò aspetto con ansia il seguito... ;)
     
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  6. ~OmEgA~
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    CITAZIONE (Yasuko-chan @ 9/8/2014, 19:45) 
    bella storia ! E' impeccabile riuguardo al metodo di scrittura, e mi ci sono anche appassionata. Hai descritto bene il tormento di Misaki... :) però, cosa alquanto strana per me, non riesco a immaginare il seguito. Perciò aspetto con ansia il seguito... ;)

    :BibleThump: mi crei anche troppa esaltazione se mi scrivi così. Il seguito è già tutto pronto, ma non voglio intasare troppo con malloppi troppo pensati da leggere! Tra poco metterò comunque anche il terzo. Grazie mille per aver letto :°-°: .
     
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  7. ~OmEgA~
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    Terzo capitolo!

    Io sono una prescelta.



    Qual'è il senso della vita?
    Una domanda che nel tempo ha perso sempre maggiormente di significato, ma non per un'effettiva mancanza di risposte. A far venire meno la brama di risolvere il quesito è stato proprio il fatto che il possesso di una soluzione, se esistente, avrebbe screditato drasticamente quell'unica forma di meraviglia e continua sorpresa che è la vita stessa.
    Alle volte ci capita di essere piegati dalla realtà dei fatti. Vediamo le persone in disgrazia chiedere aiuto, ignorate da tutti i loro simili; in quei momenti ci rendiamo conto che ciò che bramiamo probabilmente mai arriverà, allorché ci sembra assurdo credere che ci sia qualcosa di predestinato per noi, mentre quelle persone sciagurate e distrutte continuano a soffrire. A darci quest'impressione è però il punto di vista egocentrico che ogni umano, volente o nolente, adotta nei confronti del prossimo. Tuttavia, all'improvviso, quando siamo oramai certi di aver dato un senso materiale e sempliciotto alla vita, questa ci sorprende con degli imprevisti che non si identificano né come buoni né come negativi, ma solo come eventi inaspettati che possono portare a risvolti o tragici o splendidi lungo il nostro cammino; quel giorno Misaki si ritrovava proprio davanti ad uno di quegli imprevisti.
    « Fa un patto con me... E diventa una Puella Magi. »
    Erano state le parole che quell'esserino aveva pronunciato, o meglio, chi Misaki credeva di avergli sentito dire. Quella voce dolce e candida sembrava come essere nata dalla sua stessa mente, una mente che, alla visione di quella particolare specie di gatto, aveva iniziato a dare cenni di cedimento. Difficile era per lei attutire a tutti quei colpi; la presenza di una strana creatura parlante dentro la propria camera; il fatto che quell'essere le ricordasse mostruosamente il responsabile delle sue sventure in un modo quasi raccapricciante. Tutto si amalgamava in un ammasso di dubbi ed angosce che quasi la spinsero a gridare, ma non lo fece. Misaki non voleva che la sentissero, indipendentemente dal fatto che l'animaletto dal pelo soffice e candido come la neve esistesse davvero o meno. Probabilmente molti avrebbero invece agito di impulso; si sarebbero lasciati prendere dal panico e magari se la sarebbero data a gambe, ma quello non era il caso di Misaki perché, purtroppo, il suo rancore aveva già devastato i suoi istinti da molto tempo. Perciò non era a scappare che Misaki era intenzionata, bensì a far fare a quell'inaspettato visitatore la stessa fine che aveva fatto fare ai suoi peluche in passato: lo avrebbe decapitato ed avrebbe sparso tutto ciò che c'era al suo interno nella stanza. Finalmente sentiva di non essere solo un errore della vita, ma di avere un destino da compiere, quello di fare a pezzi quell'essere viscido che sedeva sulla sua scrivania, facendo dondolare la grossa coda bianca come se fosse una soffice nuvoletta.
    I pensieri vennero a meno nel momento in cui Misaki, presa dall'ira e dall'eccitazione, si lanciò verso la scrivania, cosa che le fece provare un dolore tremendo al ginocchio che quasi non l'abbandonò prima di raggiungere l'obbiettivo. Le sue mani si allungarono minacciose verso la creaturina che, nonostante non potesse aspettarsi una reazione simile, non mostrava nessuna espressione terrorizzata o sorpresa. I suoi grandi occhi rosa erano sempre immobili ed imperscrutabili e neanche le orecchie si erano mosse minimamente; tutte quelle cose fecero pensare a Misaki che l'animale, che in quel momento aveva iniziato a strangolare, tutto era tranne che un gatto. Sotto le sue dita, la consistenza della candida vittima sembrava quasi nulla, come se stesse davvero cercando di togliere la vita ad un ennesimo peluche; quella sensazione di impotenza nel non poter vedere il volto dell'esserino contorcersi dal dolore la spinse ad afferrare le forbici che si trovavano nel vasetto delle penne sopra la scrivania ed a portarle alla gola della sua preda.
    Esitò per qualche secondo, ma non per pietà, più per il dispiacere derivato dal fatto di non potersi godere a pieno quel momento. Misaki avrebbe voluto parlare, avrebbe voluto dirgli quanto aveva sofferto per colpa sua, ma sarebbe stato rischioso mettersi a parlare, così decise di accontentarsi di quella magra soddisfazione che la vita le stava donando, quando all'improvviso la vocetta dolce ed innocente risuonò dentro la sua testa.
    « Pensa ciò che vuoi dirmi. Io posso sentire i tuoi pensieri. »
    Quella frase quanto inaspettata, quanto tranquilla, costrinse Misaki a placare il suo intento omicida ed a temporeggiare qualche secondo. La punta delle forbici stava già accarezzando il soffice collo del candido animaletto, ma questo non mostrava alcun segno di paura sul suo volto felino. Gli occhi erano sempre fermi e sgranati, come se fossero privi di palpebre, mentre gli unici movimenti che compiva erano il muovere la coda e lo sbattere le piccole orecchiette dall'interno roseo.
    Misaki fissò quell'essere attentamente, cercando di non dare nuovamente in escandescenza. Il fatto che quel "gatto" fosse praticamente identico a come se lo ricordava la inquietava. Ella aveva sempre pensato che dei dettagli, come i spessi occhi rosa e quelle paffutelle e lunghe protuberanze biancastre a forma di mano adornate da due scintillanti anelli dorati che fuoriuscivano dalle stesse orecchie, che solo in quel momento si era accorta di vedere, altro non erano se non delle alterazioni dettate dall'influenza della sua mente infantile, eppure in quel momento la realtà le dimostrava il contrario.
    Decise di parlargli, o meglio, di comunicare telepaticamente.
    « Io mi ricordo di te. »
    Fu tutto quello che riuscì a generare in quel momento di pieno caos mentale.
    « Sai chi sono? »
    Ribatté da flebile vocetta dentro la testa di lei che si sentì violata e disgustata al pensiero che quel mostriciattolo fosse in grado di setacciare la sua mente senza troppi sforzi.
    « Quello che mi ha rovinato la vita. »
    Pensò energicamente, senza neanche intenderla come una vera e propria risposta, quella frase prese vita nella sua testa come un rigetto di odio e brama di vendetta.
    « Non so a cosa ti riferisci. Io sono qui per chiedere il tuo aiuto. »
    Misaki rimase interdetta. Immediatamente pensò che quel piccolo mostro tentasse disperatamente di salvarsi la vita con qualche sporco tranello; si rese però conto che in lui non vi era nessuna forma di paura e soprattutto che non avrebbe avuto senso presentarsi da lei in quel modo, se non avesse totalmente dubitato che potesse aggredirlo in quel modo. Lentamente, ma con molta diffidenza, le mani di Misaki mollarono la presa prima sulle forbici e poi sullo strano animaletto, poi lei si lasciò cadere seduta sul letto alle sue spalle, con il ginocchio che ancora le doleva per lo sforzo fatto.
    La candida creatura scese con un piccolo balzo dalla scrivania poi saltò nuovamente sul letto, proprio accanto a Misaki. Nei suoi movimenti, che non generavo alcun rumore tranne il tintinnio dei sottili anelli dorati che pendevano dalle orecchie, sorretti da una forza misteriosa, c'era qualcosa di mistico ed ipnotico, difficile da spiegare, ma tremendamente affascinante.
    « Il mio nome è Kyubey »
    Si presentò garbatamente, senza smettere di far ciondolare la spessa coda a batuffolo a destra ed a sinistra, con movimenti che sembravano emulare la delicatezza di un pittore sulla tela.
    « Però non ho alcun ricordo di te, anche se le informazioni in mio possesso mi consentono di conoscere il tuo nome: Misaki Sunflower Nagai. »
    Misaki socchiuse gli occhi adirata e spostò il suo sguardo freddo su Kyubey che giaceva alla sua destra. Non era certamente disposta a credere ad una bugia come quella; la somiglianza con il modello generato dai suoi ricordi era troppo calzante e non poteva assolutamente credere di sbagliarsi.
    « Cosa sei? »
    Chiese allora, cercando di trattenersi dall'afferrare nuovamente quell'esserino bugiardo e privo di emozioni.
    A quella domanda, Kyubey inclinò la testa poi, con un lungo balzo raggiunse nuovamente la scrivania, dove si accomodò sedendosi e puntando il suo sguardo insistente e fastidioso su Misaki.
    « Cosa sono non è rilevante, ma lo è cosa faccio. »
    Misaki storse la testa ed inarcò le sopracciglia, sentendosi già persa nei discorsi di quel mostro dalle sembianze feline che sembrava essersi autonomamente riesumato dai suoi incubi.
    « Devi sapere, Misaki Nagai, che il mio compito è quello di scegliere le ragazze adatte a svolgere un compito di estrema importanza. »
    Kyubey scrollò la testa, chiudendo gli occhi per la prima volta, lasciando che i due anelli si scontrassero tra loro producendo quello che, all'orecchio di chiunque, sarebbe risultato un suono dolce e piacevole, ma che per Misaki sembrava solo un trapano conficcato in entrambi i timpani.
    « Una volta che entro in contatto con la ragazza giusta le propongo un accordo. Ella dovrà prestarsi a combattere le streghe che invadono il mondo. In cambio di questo, io esaudirò un desiderio qualsiasi. »
    Misaki dovette lottare per non alzarsi e sbattere quel fastidioso peluche vivente contro tutte le pareti della stanza. Ciò che gli stava dicendo le sembrava una sorta di presa in giro. Certo, davanti a lei c'era una specie di animale in grado di comunicare telepaticamente, ma addirittura credere alle streghe le sembrava troppo!
    « Una volta esaudito il desiderio... »
    Continuò a spiegare Kyubey.
    « … Le prescelte diventano in grado di trasformarsi in Puella Magi, con tutti i poteri necessari a combattere le streghe. Queste ultime rappresentano gran parte delle sparizioni, suicidi ed omicidi che avvengono nel mondo. Le streghe influenzano le persone, le spingono a fare ciò che vogliono, per questo è indispensabile fermarle. »
    Misaki rimase in silenzio, anche mentalmente, per diversi secondi. Nella sua testa si ripetevano di continuo quelle assurde spiegazioni su desideri, streghe e quanto altro di incredibile si potesse pensare. Decise però di dare corda a Kyubey e fece una domanda pertinente.
    « Se nel mondo succede questo, perché tu sei qui da me a perdere tempo? »
    Kyubey fece un piccolo salto sul cornicione della finestra, piazzandosi proprio di fronte alla luna che si ergeva nel cielo, poi roteò la testa verso Misaki e rispose alla sua domanda.
    « Te lo ho spiegato appena sei entrata. Voglio fare un contratto con te per trasformarti in una Puella Magi ed aiutarmi così nella caccia alle streghe. »
    Dopo quella richiesta, per Misaki, tutto ebbe quasi improvvisamente senso. Probabilmente i suoi erano vaneggiamenti dovuti alle ultime forti emozioni di rabbia, odio, stupore e meraviglia provate, ma la facevano sentire incredibilmente bene; sentiva che tutta la sua vita cominciava ad avere un senso e che magari avrebbe avuto il suo riscatto da quel momento in poi; lei non era più un errore, era una prescelta!
     
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  8. Yasuko-chan
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    mi piace " la prescelta "... :lol: aspetto il resto della storia... ;) * comunque se ti ho fatto quei complimenti non è per esaltarti u.u ... piuttosto è perchè te li meriti, sei davvero bravissimo... ;) :D :lol: *
     
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    Ho letto anche gli altri due capitoli, stupendi! Solo una cosa: da ciò che hai scritto finora, affermo di odiare Misaki. Non so bene il perché, ma comunque spero di ricredermi perché odiare la protagonista non è un buon punto per iniziare a leggere una storia xD perciò posta presto il seguito! :shishi:
     
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  10. ~OmEgA~
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    CITAZIONE (K y o ~ @ 11/8/2014, 20:39) 
    Ho letto anche gli altri due capitoli, stupendi! Solo una cosa: da ciò che hai scritto finora, affermo di odiare Misaki. Non so bene il perché, ma comunque spero di ricredermi perché odiare la protagonista non è un buon punto per iniziare a leggere una storia xD perciò posta presto il seguito! :shishi:

    Potrei farti un elenco dei protagonisti che odio appartenenti ad opere che amo! Però mi limito a ringraziarti per il tempo che hai dedicato a leggere e soprattutto al commento su Misaki; che sia amata o odiata per me va bene lo stesso, significa che qualcosa riesce a stimolare!

    Preso inserisco quello nuovo; ho la pessima abitudine di temporeggiare su queste cose a causa dell'insicurezza e siccome devo usare Misaki in un contesto diverso da quello di Madoka voglio anche rileggere questa fan fiction per il puro piacere che da una rilettura di sicurezza!
     
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  11. ~OmEgA~
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    Nuovo capitolo!

    Io sono una Puella Magi.

    Gli spiragli di luce oltre le nuvole temporalesche sono sempre ben accetti da tutti.
    E' probabilmente capitato a chiunque di accogliere quella dorata luce che, dopo molti sforzi, riusciva a fare breccia dentro quell'accumulo di nubi nere che continuavano ad ottenebrare ogni cosa. Nel momento in cui la suddetta luce ci colpisce poi, ne assaporiamo quel calore che ci stringe tra le sue braccia e ci fa comprendere che il peggio è passato e che, oramai, del temporale altro non rimane se non una desolazione da lasciarsi alle spalle per dare inizio ad una nuova giornata ricolma di possibilità.
    E' difficile però che, nella vita, il raggio di luce possa manifestarsi con regolarità e soprattutto i temporali della vita possono essere molto più duraturi di quelli atmosferici. Questo ci porta a comprendere a pieno la situazione di Misaki. Lei non ricordava neanche chiaramente quando il suo temporale fosse iniziato, ma era ben conscia della sua durata: anni. Per tutto quel periodo lei aveva sopportato la devastante tempesta di dolore e frustrazione senza mai opporsi o meglio, senza mai trovare un vero motivo per farlo. Le sue origini la facevano sentire come un qualcosa che non doveva esistere e che non avrebbe mai trovato il suo posto nel mondo, mentre tutto quello attorno a lei continuava ad opprimerla ed a farle intendere che in lei c'era qualcosa di sbagliato; adesso sapeva cosa fosse quella cosa; lei era una prescelta! Quel raggio di sole aveva letteralmente distrutto le nubi della sua vita e poi l'aveva irradiata con tutta la potenza necessaria a farle capire che quanto aveva sofferto aveva un senso ed era il momento di scoprirlo!
    I giorni successivi alla sua scoperta li aveva passati in totale serenità; andava a scuola dondolando sul suo ginocchio malandato; ignorava le parole acide e fastidiose delle persone; pensava con ritrovato entusiasmo, lo stesso che aveva perso quando era solo una bambina.
    Vanessa aveva tentato di affondare questo suo strano buon umore, ma neanche le parole più crudeli ci erano riuscite; Misaki sapeva che adesso tra lei e quella petulante ragazzina c'era qualcosa che neanche tutta la popolarità del mondo poteva sovrastare. Infatti, lei era oramai completamente differente da qualsiasi altra ragazza del pianeta! Lei era importante, ma non come una star del cinema; si trattava di qualcosa che non poteva essere catalogato all'interno della società , né in altri contesti. Mantenendo sempre un atteggiamento disinvolto e freddo, si era fatta spiegare con esattezza da Kyubey cosa sarebbe potuta diventare e la risposta era stata: una Puella Magi.
    Lo strano gatto parlante l'aveva introdotta in quel mondo che, ai suoi occhi, era sempre stato nascosto, facendole visita ogni notte e parlandole per ore ed ore. Inutile dire che Misaki, specie le prime volte, provava ancora il forte desiderio di avventarsi sull'animaletto e farlo a pezzi, ma lentamente la cosa era andata scemando, sino a che non si accorse di aver perso ogni singolo risentimento. Kyubey le aveva già confermato che quel giorno, al di là della strada, non c'era lui e che quindi non aveva nessuna colpa di quanto le era accaduto; Misaki credette a quella versione analizzando i fatti quanto evidenti quanto schiaccianti. Kyubey non poteva avere certo interesse ad azzoppare una delle sue eventuali sottoposte, poi lui si trovava lì per evitare proprio che quel genere di cose potessero avvenire. Il candido gatto magico, per confermare i suoi pensieri, le aveva poi descritto le attività delle streghe che spingevano le persone a uccidersi o ad uccidere, quelle ultime parole avevano definitivamente convinto Misaki che, con tutta probabilità, quel giorno era stata tratta in inganno proprio da una strega. La cosa era ironica quanto eccitante per lei che adesso si sentiva davvero motivata a dar loro la caccia. Tuttavia restava ancora una cosa che la divideva da quel destino luminoso e raggiante a cui tanto ambiva: i metodi di stipulazione del contratto.
    Per diventare una Puella Magi era necessario stipulare un contratto con Kyubey e questo pretendeva, dalla parte della contraente, un desiderio da realizzare. Misaki non sapeva cosa chiedere. Probabilmente, se glie lo avessero chiesto prima, avrebbe chiesto di annullare quel maledetto giorno in cui la macchina la investì, ma le carte in tavola erano completamente cambiate e così si ritrovava priva di qualsiasi desiderio.
    Kyubey continuava a chiederlo in modo quasi ossessivo ogni notte che si incontravano; lei lo capiva, in fin dei conti quello non era un gioco, perché c'era in ballo la vita di molte persone, però Misaki trovava stupido sprecare un desiderio per qualcosa che non voleva, visto che era una di quelle cose che potevano avvenire solo una volta nella vita. Così continuava a ragionare ogni giorno di più su cosa potesse desiderare, contando anche sui consigli che Kyubey aveva da offrirle. Inizialmente si ritrovò a pensare che fosse una buona idea migliorare la vita dei genitori, ma sentiva come un qualcosa che le impediva di esprimere quel desiderio. I suoi genitori l'avevano torturata per anni, le avevano fatto pesare la croce di tutte quelle sventure sulla schiena e probabilmente non meritavano quella felicità che lei adesso poteva garantirgli; dal sentirsi in colpa verso di loro, grazie all'arrivo di Kyubey nella sua vita, adesso si sentiva più come un giudice in grado di mettere la sentenza di eterna infelicità nei loro confronti. Si poteva dire quindi che la comparsa di quel candido gatto magico era divenuta per Misaki una sorta di appiglio al quale sostenersi. Ben presto si rese conto di come erano cambiate le cose dentro di lei, anche se inizialmente non fu perfettamente conscia, sino a che una notte, mentre cercava di prendere sonno, si accorse che Kyubey si era acciambellato tra le sue gambe. L'idea che quell'esserino le stesse così vicino, all'inizio la fece rabbrividire, poi però si accorse di provare il desiderio di posare le mani su di lui. Non si trattava però di quel solito sentimento di collera che le suggeriva di prenderlo e di strappargli il collo usando un paio di forbici, ma di qualcosa di diverso; Misaki voleva accarezzarlo. Lentamente aveva allungato la mano destra, con un certo timore, quando all'improvviso le orecchiette di lui si erano mosse, spaventandola.
    « C'è qualcosa che non va, Misaki? »
    Sussurrò la solita vocetta dolce ed inumana dentro la testa di Misaki. Lei aveva ritratto la mano verso di sé, mentre Kyubey si era seduto sulle lenzuola, storcendo l'enorme testa rotonda e fissandola con i suoi penetranti occhietti rosa. Misaki aveva sempre detestato quelle fattezze, ma in quel momento le sembrò di apprezzarle, anzi, quasi di trovarle adorabili. La sua domanda le fece tornare alla mente tutte le volte in cui la sua professoressa le aveva posto le stesso quesito e lei l'aveva spudoratamente ignorata. Per lei era ovvio comportarsi in quel mondo, nessuno poteva capirla e di certo una professoressa che chiedeva per dovere alla propria alunna come andavano le cose aveva ancora meno possibilità di riuscita. Tuttavia in quel momento, quando Kyubey le aveva fatto quella domanda, le se era riscaldato il cuore.
    « In realtà... Non è solo qualcosa. »
    Si limitò a rispondere, tirando a sé le ginocchia e stringendole con le braccia come una bambina spaventata. Kyubey rimase in silenzio con la solita espressione indecifrabile sul volto, poi scodinzolò e fece sbattere nuovamente le orecchie, prima di rispondere.
    « E' per questo che sei stata scelta per diventare una Puella Magi. »
    Misaki si ritrovò a stringere con così tanta forza le ginocchia da farsi male al petto. Era bastata quella frase a convincerla che tutto fosse apposto. Una conferma tanto ovvia quanto immediata. Lei aveva sofferto così tanto per un solo motivo e quel motivo era diventare una Puella Magi. Se fosse rimasta una bambinetta viziata allora non sarebbe andata affatto bene! Tutto il suo dolore ed il suo desiderio di riscatto la avevano portata ad essere quella che era e Kyubey credeva in quella Misaki, probabilmente era il primo in tutto l'universo ad averle concesso così tanta fiducia e lei non voleva smentirlo.
    « Domani tu vieni con me. Niente scuola. »
    Disse a Kyubey che, per la seconda volta, inclinò il grosso testone.
    « Per quale motivo Misaki? »
    Lei allungò con sicurezza il braccio e questa volta lo poggiò sulla testa del piccolo gatto magico.
    « Perché domani diventerò una Puella Magi. »

    -

    Il giorno successivo, Misaki non andò a scuola, fece salire Kyubey sulla sua spalla e si diresse zoppicando verso il posto dove la sua vita era cambiata: la strada dell'incidente. Una volta arrivati, un brivido gelido le attraversò il corpo e quasi non si mise a tremare; a distanza di diversi anni si ritrovava nuovamente lì, dove la sua infelicità era stata seminata dal fato.
    « Adesso ha tutto molto più senso. »
    Mormorò lei.
    Kyubey scese dalla sua spalla ed atterrò sul marciapiede; un altro ricordo del passato perfettamente reincarnato nel presente.
    « A cosa ti riferisci Misaki? »
    Chiese il gatto, guardandosi intorno con fare disinvolto; le persone non potevano vederlo, ma comunque non c'era anima viva in quel momento della mattina perché tutti si trovavano nei posti di lavoro.
    « A tutto. »
    Spiegò Misaki, scrutando l'esatto punto in cui anni addietro l'auto l'aveva falciata. La suggestione le mostrò nuovamente quella tremenda scena, poi la riportò alla realtà con violenza, sbattendola su quel marciapiede come se fosse un corpo privo di anima.
    « Non fa più male. »
    Aggiunse, pensando a cosa stava per chiedere a Kyubey. Alla fine si trattava della cosa più stupida, ma per lei andava più che bene. I soldi non le interessavano e neanche tutte le altre cose che in passato le erano mancate; lei voleva solo desiderare di essere una Puella Magi, le importava solo di quello, perché era il risultato finale di tutta quella drammatica vita che aveva vissuto.
    « Ascoltami Kyubey! Io desidero... »
    Le sue parole però vennero improvvisamente troncate da un suono tremendo. Le orecchie di Kyubey si drizzarono come antenne e la sua grossa testa iniziò a muoversi a destra ed a sinistra in modo quasi inquietante.
    « Strega! »
    Riuscì a dire, prima che quella che Misaki avrebbe potuto definire una macchinina da corsa lo investisse in pieno. Tutto attorno a loro cominciò a trasformarsi parzialmente, come se un bambino stesse disegnando nella realtà tenendo tutte le matite strette nel pugno e facendo compiere a questo innumerevoli rotazioni. Lunghe strisce di matita dai mille colori si sovrapposero alle pareti, alle strade ed al cielo, mentre la stessa macchinina che aveva schiacciato Kyubey andava a percorrerle strombettando come una pazza il clacson. Misaki si portò le mani alle orecchie e cadde in ginocchio per il terrore; quella era una strega? Un piccolo omino stilizzato che guidava una macchinina da corsa impazzita?
    Sconfiggendo la paura, Misaki riuscì a strisciare sino al corpo malridotto di Kyubey, poi le prese tra le braccia con fare protettivo ed urlò il suo nome un paio di volte, ma persino lei trovò difficile udire la sua voce fra tutto quel baccano che la strega stava facendo con il suo clacson impazzito.
    « Contratto... »
    Mormorò dentro la sua mente Kyubey, ma lei non riuscì a capire cosa volesse. Il gatto fece risuonare qualcos'altro dentro la sua testa, ma persino la telepatia sembrava non riuscire a raggiungerla in tutta quella confusione tra sogno e realtà che la strega continuava a generare. I cartelli autostradali avevano iniziato a staccarsi dai pali, mentre le strisce si erano come rimosse dalla strada ed adesso fluttuavano con fare sinistro tutti intorno a loro; era la fine.
    La vecchia Misaki si impadronì di quella piccola crisalide di speranza che era l'attuale Misaki e le fece comprendere cosa stava perdendo; non si trattava più di vedere svanire il vero significato della sua vita, ma di perdere quell'unico essere a cui si fosse affezionata, lo stesso che stava tenendo tra le sue braccia in quel momento.
    Improvvisamente però, tutto cessò. La strega smise di strombettare a causa di un mastodontico ago rosso che si era piantato nella sua testa. A tenere tra le mani l'enorme attrezzo da cucito era una ragazza con indosso uno splendido vestito da principessa, luccicante e di colore azzurro splendente; Misaki associò quell'immagine a come si era sempre immaginata la fata turchina di cenerentola, tuttavia quella non era una fata, ma una Puella Magi o meglio, quella era Vanessa, la fastidiosa compagna di scuola di Misaki.
    Mentre tutto il mondo che la strega aveva generato attorno a se svaniva, Misaki riuscì ad osservare lo splendore dell'abito color zeffiro che indossava la ragazza che, in quella forma, teneva i lunghi capelli neri ben aggiustati dietro la testa, in una crocchia che faceva pendere quattro lunghe code di cavallo.
    « Era solo un famiglio, che spreco di magia. »
    Si lamentò Vanessa, facendo roteare con le mani i due grossi aghi da cucito scarlatti che erano collegati a lei tramite dei lunghi fili azzurri luminosi provenienti dalla larga gonna del vestito.
    « Che ci fa qui zoppa? Marini anche la scuola adesso? »
    Disse poi rivolgendosi a Misaki, mentre il suo vestito da Puella Magi si disperdeva in tante scintille colorate per lasciare spazio alla divisa scolastica. Kyubey intanto sgusciò dalle braccia di Misaki e corse dritto verso Vanessa.
    « Vanessa! Ci hai salvati, ti ringrazio! »
    Dopo quelle parole, il cuore di Misaki si fermò; si sentiva nuovamente come prima, non era cambiato nulla, come poteva essere stata così stupida? Persino Vanessa era una Puella Magi e se lo era lei, questo voleva dire che ce ne erano in giro molte altre. Puellae che cacciavano le streghe, Puellae che mantenevano l'ordine nel mondo, Puellae che Kyubey aveva scelto. Quell'ultima idea le fece divampare dentro un senso di rabbia ed invidia; aveva capito proprio mentre stava per morire che ci teneva a quello stupido animaletto magico, perché era l'unico che l'aveva apprezzata per come era, anzi lei gli serviva per come era!
    « E' stato facile per una come me. »
    Si vantò Vanessa, lisciandosi i lunghi capelli neri che adesso erano liberi dalla crocchia che, probabilmente, faceva parte a sua volta del vestito da Puella Magi.
    « Intendi diventare una Puella Magi, zoppa? »
    La schernì poi, tirando un sospiro e dandole le spalle per andarsene.
    « Non essere idiota, non è una cosa da te. »
    Misaki fissò la compagna e rivale allontanarsi, poi strinse i pugni così tanto da farsi male ai palmi delle mani ed infine si alzò, urlando con tutta la collera che aveva in corpo.
    « Kyubey! QUESTO E' IL MIO DESIDERIO... »
     
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